La Caduta di MacBeth

La caduta di MacBeth

  • Titolo: La caduta di Macbeth
  • Autore completo: Federico Mele
  • Casa editrice: Fanucci comics
  • Anno: 2022

Tra tutti i capolavori che la geniale vena di William Shakespeare ha regalato al palcoscenico, tra i miei preferiti insieme all'Amleto c'è sempre stata la storia di MacBeth: questo nobile cavaliere che, dopo un fatale incontro con tre streghe, arriva a rinnegare e tradire tutto ciò che è e in cui crede per seguire il folle sogno del potere.

Avere la possibilità di vedere illustrate le ansie e i tormenti che stringono i personaggi di questa tragedia è già di per sé un'ottima motivazione per cui recuperare questo fumetto.

Ma quando ci avventuriamo nel lavoro di adattamento e di rappresentazione grafica che Federico Mele fa della storia, beh, capiamo che ci troviamo di fronte a un prodotto artistico di rara qualità.

 L'albo viene aperto dalla presentazione delle tre streghe, rappresentate qui come un rospo, un serpente e un corvo. Questi tre animali, simboli magici molto potenti nell'immaginario nordico (come i corvi del dio Odino Huginn e Muninn, oppure pensiamo a Jormungandr, il serpente cosmico che con le sue spire cinge il mondo) ricorreranno spesso nel volume, in modo da ammantare tutta la vicenda di un alone di magia e folclore che da una parte rende ancora più esoterico il testo, già di per sé molto legato all'elemento speculativo; d'altra parte però la magia presentata in questo adattamento non è quella a cui siamo abituati, ciò quella di maghi e stregoni (una magia strettamente legata al genere fantastico), ma ha più attinenza con le tradizioni popolari e i racconti notturni sussurrati intorno al fuoco.

Se nel diciassettesimo secolo di Shakespeare questa differenza poteva non essere importante, in un prodotto artistico dei nostri giorni invece questa scelta appare cruciale: infatti già dalle prime pagine capiamo che ciò che andremo a leggere è un mix perfetto tra psicologia umana e sogni sovrannaturali, in un richiamo continuo tra realtà, percezione e astrazione.

Così arriviamo all'incontro di MacBeth e del suo fedele compagno Banquo con le streghe: al primo profetizzano un futuro da sovrano, mentre al secondo un avvenire come padre di re. 

Sconvolto e con la mente in tumulto da questa premonizione, il nostro eroe galoppa verso il suo castello, dove ad attenderlo c'è sua moglie, Lady MacBeth. 

Questo personaggio femminile, vero archetipo della femme fatale cara alla narrativa noir degli anni '20, è disegnata e descritta da Mele come un ibrido tra una sirena sensuale e una vipera crudele, che per ambizione spinge il marito titubante verso l'estremo tradimento: uccidere il  re e impadronirsi del trono.

Il modo in cui, soprattutto i monologhi di questo personaggio (l'unica donna in un cast totalmente maschile), caratterizzati da figure intere che prendono lo spazio sulla tavola come un'attrice domina il palcoscenico risultano molto potenti ed efficaci: unire la sensualità del suo bellissimo corpo spesso e volentieri nudo a un tratto ambiguo, spigoloso e sporco come le sue parole rendono in molto efficace la complessa psicologia di un personaggio spudorato che alla fine viene devastato dalla sua stessa cupidigia.

L'usurpazione del trono dopo un efferato omicidio non è l'unico delitto di cui si macchieranno le mani del nostro protagonista: infatti dal momento in cui la corona gli cingerà la fronte l'uomo sarà sempre più dominato da una smania di potere che lo renderà paranoico verso ogni possibile minaccia, portandolo a trucidare e ordinare la morte di amici, rivali e innocenti.

Alla fine sarà sempre per volere di una Dea che MacBeth farà il passo più lungo della gamba e, inebriato dalla consapevolezza della propria invincibilità (infatti le tre streghe profetizzeranno ancora per lui, dichiarano che nessun "uomo nato da donna potrà ucciderlo") il re verrà decapitato proprio da uno degli uomini la cui famiglia era caduta vittima della sua furia sterminatrice.

In queste tavole la violenza della tragedia non viene mai trattenuta, ma esplode in inquadrature che la rendono al lettore in tutta la loro feralità, ma senza mai scadere nel voyeuristico macabro che ci si sarebbe potuti aspettare.

In questo adattamento le parole del Bardo dell'Avon mantengono tutto il loro lirismo e il magnetismo che le hanno rese immortali, amalgamandosi a un disegno che non cerca mai di spiegarle (sbagliando), ma si limita a sorreggerle, darle un mondo credibile in cui prendere forma e incarnarsi in un medioevo sporco e violento in cui l'uomo e la magia sono fusi in un solo essere: non esiste né psicologia pura da Jung o Freud, né la magia di un Aleister Crowley, bensì una soluzione intermedia tra le due, in cui non si è mai sicuri che ciò che accade sia frutto della fantasia del protagonista o dell'intervento di esseri demoniaci.

Proprio in questo risiedeva la forza della tragedia, forza che è stata capita e resa in modo magistrale in questa opera derivativa.

  • VOTO: 10
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