Teatro Satanico: Fatwa Recensione

  • Artista: Teatro Satanico
  • Titolo: Fatwa
  • Genere: Industrial
  • Anno: 2012
  • Etichetta: Old Europa Cafe

Partiamo con una premessa per contestualizzare e fare capire l’importanza di Teatro Satanico nel (sommerso) panorama musicale italiano: l’Industrial è un genere che non fa della ballabilità la sua qualità di punta. I suoi ritmi acidi, fruscianti, ruvidi e morbidi ma spesso reiterati sino allo sfinimento lo collocano forse più verso l’attenzione per i testi che per le note in sé.   

Dieci minuti di ripetizioni con variazioni minime sono un ascolto ostico anche per chi è avvezzo al diverso in generale e di certo un testo (possibilmente non banale) aiuta l’ascoltatore ad arrivare in fondo al brano.

E qui arriviamo proprio al caso di Fatwa, lavoro in 10+1 tracce di Teatro Satanico ovvero il progetto di uno dei personaggi principali della scena Industrial nostrana: il veneto Devis DeviLs Granziera (almeno come si fa chiamare in questa uscita, dato che il suo nome varia tanto quanto la sua musica).

Per dare subito l’idea di cosa stiamo parlando si potrebbe dire che i Teatro Satanico stiano all’Industrial (europeo, non solo italiano, anche perché la scena si dipana soprattutto nel vecchio continente) come i Beatles al Rock. Come potrete però ben immaginare, il problema è che l’Industial è un tipo di musica che non si filano in molti a paragone del genere dei quattro scarafaggi di Liverpool and company, quindi le proporzioni non giocano di certo a favore dei nostri. 

 

Ma andiamo più a fondo nei temi e nelle musiche di questo album: intanto Fatwa è parola araba che secondo l’enciclopedia Treccani ha tale significato:

“Indica genericamente un responso giuridico su questioni riguardanti il diritto islamico o pratiche di culto; la parola ha avuto notorietà in Italia per l’uso restrittivo con cui è stata intesa nel linguaggio dei giornali che la riferirono alla condanna a morte in contumacia pronunciata nel 1989 dall’ayatollah Khomeinī contro lo scrittore Salman Rushdie ritenuto reo di sacrilegio verso la religione musulmana per il suo libro The Satanic Verses - I versi satanici”.

Si evince quindi subito lo spirito del disco.

Anche la copertina con la sua totalità di verde brillante può essere vista come un riferimento alla religione musulmana in quanto questo è ritenuto tradizionalmente il colore dell’Islam - basti vedere le bandiere di Arabia Saudita, Palestina, Iraq e Iran o prendere in mano la principale edizione italiana del Corano, quella curata da Roberto Piccardo (ritenuta la versione italiana ufficiale dall’Arabia Saudita).

Vorrei a questo punto fare notare che l’Islam non è citato per esser omaggiato, se già non si era capito. Scansiamo subito gli equivoci: Teatro Satanico pensa da sempre con la propria testa e questo non può che rafforzarsi ad ogni fanatismo che salta fuori. Indi per cui necessita di ascoltatori che abbiano voglia di fare altrettanto. Avvicinatevi all’ascolto SOLO con questo spirito.

Trattandosi di Teatro Satanico c’era comunque da aspettarsi che il senso religioso non fosse proprio ortodosso e infatti se si apre la custodia del disco si possono notare quattro egregi dipinti di Saturno Buttò, artista che attraverso un sapiente uso di colori ad olio in stile Caravaggio fa in modo che sacro e profano s’incontrino con sfumature intense, colori accesi che vengono come sputati fuori da una tenebra onnipresente tra corna, croci, serpenti e veli in modo da prender un po’ tutte le religioni monoteiste principali. Corpi pieni e nudi di uomini e donne a rimarcare forse la necessità di materialismo sensuale rispetto alla necessità di spiritualismo che causa invece spesso odi, terrorismo e fanatismo (nota dominante del disco, dove viene ripetutamente denunciato, se anche questo ancora non fosse stato chiaro).

Questa recensione deve ammettere di giungere in ritardo, scritta nel 2020 e non nel 2012, anno in cui per i tipi di Old Europa Cafe questa fatica di Teatro Satanico era stata partorita. Pare però che il tempo si sia fermato su certe questioni: al momento il tema principale non è il terrorismo islamico ma il virus cinese, eppure a farla da padrone rimane la televisione che con una frase e un’immagine fa voltare le teste a comando a destra e sinistra, suggerendo cosa pensare. Questo disco avrebbe quindi potuto intitolarsi Media invece che Fatwa e lasciare i testi inalterati: il messaggio finale sarebbe stato lo stesso, ovvero non ascoltare voci dall’alto a cui obbedire ciecamente. O almeno così l’ho capito io. Questo lungo preambolo quindi a sottolineare come il lavoro di Teatro Satanico sia in lenta evoluzione (rispecchiata anche da suoni sempre più elettronici e ritmati rispetto allo schietto Industrial delle origini) ma tenacemente attuale se non strettamente necessario.

La critica alla religione è comunque condotta con molta ironia o meglio ancora sarcasmo.

Su tutte basti ascoltare la traccia che apre il disco, Allah Kebab (dove “Jihād” suona molto bene con “imbecillità” e non una volta sola, in un cantato che fa il verso ai muezzin dei minareti all’alba come fossero stati spinti in una discoteca a mezzanotte), ma anche altri titoli come Anus Dei, Dio Dio Dio di odio, God told you to do it - KILL THAT FAGGOT FOR JEEZUS KKKRIST! non lasciano scampo a dubbi.

C’è spazio anche per indiretti riferimenti a vecchi compagni di scena musicale (i veronesi Rosemary’s Baby di cui Devis narra nel libro di 225 pagine e 200 foto Rumori sacri edito da End of Kali-Yuga) tramite la citazione del romanzo di Ira Levin (o del più famoso film che ne è stato tratto per le mani di Roman Polański) Rosemary’s Baby, come si vede nel secondo brano della tracklist intitolato Adrian Andrew Woodhouse - dove Andrew e Adrian sono i due nomi del figlio del diavolo nel film, rispettivamente quello che gli era stato dato dalla madre e quello postogli dai melliflui seguaci del demonio. Questo brano è più minimalista, basato su una drum machine imperterrita ma scarna, dove versi e frasi rotolano su se stessi e si dilatano all’eccesso. Rilassante.  

Le musiche si rifanno spesso a ritmi elettronici e rumoristi che si possono comunque danzare in una discoteca, nonostante il vociare immerso in innesti analogici che rende difficile la comprensione dei testi. Questo è in particolare il caso di God told you to do it.

Verso il centro dell’ascolto si ha il brano che dà il titolo a tutta l’opera: Fatwa avanza su onde elettroniche e scie di grida, richiamando ancora una volta i muezzin arabi. Ma se i muezzin hanno il compito di invitare alla preghiera sin dalla mattina, qui si respira piuttosto il desiderio di ribellarsi. Il brano stanca col suo trascinarsi, sollevando nell’ascoltatore un senso d’indolenza verso i comportamenti imposti. Non sappiamo se queste fossero le intenzioni degli autori, ma ancora una volta si punta a liberare la personalità quindi ritengo l’obiettivo di Teatro Satanico raggiunto. I testi sono di nuovo scarni ed è un bene visto che le parole sono difficili da discernere e le liriche non sono presenti nel libretto, ma di questo parleremo a breve perché è il principale difetto dell’opera.

A seguire Sex Magick Rockets Babalon dedicata ad un personaggio noto dell’occulto come lo scienziato americano John Parsons che conciliò facilmente due sfaccettature apparentemente opposte della sua personalità: quella scientifica amante degli esplosivi e dello spazio e quella paranormale che si dilettava di evocazioni e contatti con realtà parallele sino ad averne paura (quando il diavolo gli si presentò). A livello musicale si può intendere come la ballata del disco, una preghiera verso questo personaggio controverso. Delicata, forse eccedente troppo nel tremolio della voce, ma dà il giusto riposo all’orecchio per ripartire all’ascolto della seconda parte dell’album.

Piccola digressione: Parsons fu lo scienziato fondatore del Jet Propulsion Laboratory di Pasadena ma anche l'appassionato di Fantascienza che negli anni 40 fu amico di molti autori di racconti del genere e nello stesso tempo seguì gli insegnamenti dell’occultista inglese Aleister Crowley, che non ha bisogno di presentazioni. In un certo senso lo si potrebbe vedere come un altro tipo di fanatico, non legato alle religioni ufficiali ma ammalato della stessa febbre.

Anche in questo caso, essendo Parsons stato un esperto di esplosivi morto “ufficialmente” a 38 anni nel suo garage proprio mentre si cimentava con essi - letteralmente esplodendo - l’ironia raggiunge il titolo della canzone con quel “rockets” posto nel mezzo. Il pezzo deriva in una nenia come a volerlo pregare di ritornare tra i vivi, sapendo che avrebbe il potere di farlo!

Baby Babalon è una rivisitazione di un vecchio pezzo dei Teatro Satanico uscito su Black Magick Block del 2008. Cadenzato sino allo sfinimento, molto simile alla versione precedente. La differenza principale tra le due può stare nel maggior uso di effetti diversi nella versione più recente che conferisce pienezza al brano a tutti i livelli.

La Visione e la Voce non è invece un brano di solo ascolto, ma una vera chiamata alla personalità dell’ascoltatore in quanto il brano prende spunto dalle immagini da visualizzare usate nel training dell'Ordine Ermetico dell'Alba Dorata per favorire la proiezione astrale di sé oltre che dal testo omonimo di Aleister Crowley. Potrebbe rimandare alle immagini semplici diverse per colore e forma che si usavano per aprire con la mente porte verso altre dimensioni, i cosiddetti Tattwa.

Come si diceva all’inizio non è tanto la musica quanto la parola che va udita con attenzione. In questo senso una nota di demerito all’album (ecco adesso ne parliamo davvero!) si deve alla mancata presenza dei testi, fondamentali vista anche la grande mole di citazioni sparse qua e là. Questo spinge però almeno ad ascoltare con maggiore attenzione per seguire tutti i messaggi che Teatro Satanico vuole dare, in un ironico gioco in cui il Teatro che critica usa poi gli stessi mezzi di coloro che critica per farsi seguire.

La numero 8 è Dio Dio Dio di odio nel senso che una voce ripete questo titolo sino alla fine giocando probabilmente sulle assonanze tra le parole dio e odio. Tutto qua.

Le tracce presenti possono a volte essere litanie o invocazioni come le due finali, addirittura recitate in latino (forse per questo i testi non compaiono nel libretto!!??) e dedicate a Satana per una purificazione che nessun altro pare poter dare al fan di Teatro Satanico. Queste sono Anus Dei (letteralmente “L’ano di Dio”) e Veni Satan Lucifer (traduco anche questa ma è più facile da capire no? “Vieni Satana Lucifero”).  
Anche se detto che i ritmi possono essere ballabili è chiaro che l’intento di Teatro Satanico è piuttosto quello di stare seduti, ad occhi chiusi e concentrati su ogni singolo passaggio di queste 10 tracce per capire ogni sensazione e messaggio, al di là della conoscenza della lingua latina o italiana o inglese che sia.

Il tutto si conclude con una traccia nascosta efficace, un ritmo ripetitivo vagamente africano e ovattato che cresce senza mai esagerare, per niente noioso.

Insomma, per cervelli aperti e mani abituate a non tenere in mano cellulari ma libri.

Voto:

  • 7/10