Siamo davanti a una piccola produzione priva di grandi mezzi: pochi attori, una sola location dentro la quale si svilupperà tutta l’azione, ma il risultato è comunque un horror che fa centro, generando suspence e angoscia senza mai annoiare. Il setting e la regia ricordano molto i lavori di John Carpenter: gli spazi ridotti dove si muovono i protagonisti, così come la bufera che impazza continuamente fuori della stazione radio sembrano richiamare La cosa (1982), mentre l’idea del piccolo paese devastato dall’avanzare della massa di zombie ci riporta a Il villaggio dei dannati (1995).
Molte delle scelte stilistiche, come i movimenti di macchina che evitano il soggetto che più suscita orrore e si concentrano invece sul viso di chi si assiste, la paura che ci viene raccontata dalle labbra dei protagonisti piuttosto che mostrata sono elementi che rendono il film molto raffinato, non basato sullo splatter e sul fattore shock, ma sulla capacità del regista di ricamare una storia avvincente grazie alla sceneggiatura e alla validissima performance degli attori. A proposito della sceneggiatura vale la pena segnalare che è stata curata dallo stesso autore del romanzo che ha ispirato il film. La colonna portante del film è il suono: a partire dal fatto che l’infezione apocalittica ha origine attraverso la conversazione, questo tema si espande in tanti altri aspetti del film.
Esempio lampante è la prima inquadratura, dove lo schermo è nero: non vediamo nulla ma semplicemente sentiamo la voce del protagonista rivolto al suo pubblico. Poi, man mano che lo speaker parla, sullo schermo compare l’oscillare delle onde sonore generate dalla sua bocca: ancora non lo sappiamo, ma il cuore della storia è già tutto lì, la rappresentazione grafica della voce umana racchiude in sé il motore primo di tutto ciò che sta per accadere.
Non a caso inoltre il luogo dell’azione è un’emittente radiofonica dove lavorano tutti i protagonisti, ciascuno col suo ruolo. Se trovarsi dentro una stazione radio durante l’apocalisse zombie ha di per sé molti vantaggi, come l’accesso immediato alle comunicazioni internazionali e lo scambio rapido di notizie, nel caso degli zombie di Pontypool la questione è più complessa: questi infetti sono guidati dalle onde sonore del parlato, e da questo punto di vista un luogo pieno di microfoni e amplificatori può rivelarsi piuttosto una condanna.
Anche a livello puramente narrativo il dialogo, quindi la voce umana, è fondamentale: ci viene semplicemente raccontata gran parte dell’esplosione dell’epidemia, senza l’uso di nessuna immagine. La voce degli inviati, sempre più confusi e terrorizzati, ci dice tutto quello che dobbiamo sapere per capire la gravità della situazione, ed è qui che subentra la bravura del regista a creare tensione, inquietudine e perfino orrore semplicemente con brani di conversazione.
Tutto sommato, Pontypool è un film intelligente, che prende il trope degli zombie e lo rielabora in chiave totalmente originale, bilanciandosi su pochi elementi ben equilibrati che lo rendono una pellicola veloce, godibile e di facile fruizione. Consigliata agli amanti del genere zombie ma anche a chi apprezza l’horror più intellettuale, con meccanismi complicati alla base dell’emozione più semplice di tutti, ovvero la paura.
- Voto: 7,5/10