Speak No Evil

Speak no evil

  • Titolo: Speak No Evil
  • Regia: Christian Tafdrup
  • Paese e anno di distribuzione: Danimarca & Paesi Bassi, 2022
  • Durata: 98 minuti 

Toscana, oggi.

La vacanza di Biorn, Louise e della piccola Agnes nella serena campagna italiana in fuga dal caos di una imprecisata città danese procede in modo pigro e monotono, soprattutto per l'uomo che vede la sua vita e la sua esistenza sempre più incasellata in una routine che gli sta togliendo ogni entusiasmo.

A dare una sferzata di vitalità alla situazione arriva l'incontro con un'altra famiglia, olandese, con un figlio della stessa età di Agnes, formata da Patrick, Karin e l'introverso Abel.

Passano i giorni e l'intesa e l'affiatamento tra le due coppie diventa sempre maggiore; però come tutte le cose belle, anche la vacanza arriva alla fine e ognuno è costretto a tornare alla sua vita di tutti i giorni.

Però, dopo un tempo imprecisato, alla coppia danese arriva una cartolina da parte degli olandesi con l'invito a passare a trovarli e passare un fine settimana nella loro casa in campagna nel sud dell'Olanda.

Dopo un iniziale tentennamento, la coppia accetta e parte.

E questo sarà il loro primo, ma decisivo, errore.

 Parlare della trama di questo film senza fare spoiler è molto complesso, un po' perché l'andamento della storia è molto semplice e a tratti prevedibile, per cui troppi indizi andrebbero a rovinarne in modo irreparabile la visione, un po' perché in questa pellicola è proprio il caso di dire che il focus non gira intorno a cosa succede, ma sul come.

Infatti, il film, anche se non ha quasi nessuna scena violenta (tranne nel finale), è carico fin dall'inizio di una tensione altissima, generata dall'unione di scene che potrebbero essere molto innocenti e tranquille, giudicabili quasi come intermezzi quotidiani e familiari, sorrette però da un comparto sonoro che ci avverte e ci ricorda costantemente che qualcosa di molto, molto brutto è sempre nascosto dietro la facciata innocente delle immagini che scorrono sullo schermo.

E infatti, piano piano, prevaricazione su prevaricazione, l'orrore accade: ma non ci sarà nulla di eclatante, né di catartico.

Anche l'orrore, come tutte le altre sezioni del film, sarà pacato, quotidiano, ma non per questo poco incisivo o destabilizzante. Anzi, devo riconoscere che questo è stato il film che mi ha destabilizzato di più nell'ultimo anno, proprio perché la storia che racconta non ha nulla a che fare con l'uso estetizzante della violenza o del perverso che molto spesso il cinema horror adotta come estetica ammiccante nei confronti del suo pubblico, ma al contrario qui la violenza è così tanto labile che diventa per forze di cose concreta: non sono i personaggi a subire quella sorte orribile, ma è una parte di noi, la parte che ogni giorno, per educazione, quieto vivere o altro, si mostra troppo accomodante nei confronti degli altri.

Questa lettura del film, che si rivela anche e soprattutto nell'ultima battuta di Patrick, riesce a farci accapponare la pelle e a farci capire che il Male, quello con la M maiuscola che serpeggia nelle persone che conosciamo e che miete vittime di carne e sangue e non di pellicola e inchiostro, è più semplice e banale di quanto possiamo immaginare.

In definitiva questo film è, secondo me, la perfetta esemplificazione della banalità del male, una teoria molto caro all'arte orrorifica contemporanea che in questa frase esprime tutta la casualità e l'insensatezza di un qualcosa di impersonale e involontario che, primo o poi ci colpisce tutti: la consapevolezza di essere vittime di qualcosa non perché lo si è meritato, ma solo perché eravamo nel luogo e nel tempo sbagliato. 

Il male può colpire chiunque, per quanto si sforzi di essere la versione migliore di sé, questo sembra essere il messaggio profondo di questa storia.

Per quanto riguarda il comparto tecnico, ci troviamo di fronte a un prodotto che si inserisce in modo organico nelle produzioni cinematografiche nordeuropee che abbiamo imparato ad apprezzare con film quali Il rituale, Midsommar o la serie tv Netflix L'uomo delle castagne: la narrazione si prende il suo tempo, i personaggi sono molto razionali ma nascondono una emotività profonda.

Unica differenza tra questo e i prodotti sopra elencati sembra essere la fotografia, che appare senza alcun dubbio più calda di quella de Il rituale e con un montaggio meno serrato di quello della serie Netflix, ma non raggiunge il festival cromatico dell'opera di Ari Aster. Insomma, in questo lungometraggio che comunque mostra e indugia sul freddo mare del nord e sulla nebbia olandese non mancano anche i colori accesi della campagna Toscana o il caldo abbraccio della luce elettrica degli interni.

Il film, nonostante non mostri molta violenza esplicita, è ricco di una violenza emotiva così alta che riesce a entrare senza indugio nell'horror estremo, portandomi a consigliarlo solo a quegli spettatori che sono pronti a sperimentare un'esperienza molto intensa e sconvolgente.

Da parte mia posso solo dire che è uno di quei film (come Requiem for a Dream e Noi i ragazzi dello zoo di Berlino) che non rivedrò una seconda volta.

 

  • VOTO: 8
Reviewer